• Smart Working, diritto alla disconnessione e lavoro h24: i diritti invisibili del digitale

    Introduzione: dal turno di fabbrica alla notifica sul telefono

    Nel primo articolo ho raccontato di mio padre e delle battaglie per i turni di lavoro.
    Le quattro squadre alla Michelin non erano un concetto teorico: significavano vite stravolte, famiglie che non riuscivano più a trascorrere un giorno insieme, weekend cancellati.
    Quelle discussioni le ascoltavo da bambino, seduto in cucina, mentre mio padre e i colleghi organizzavano assemblee, scioperi, trattative.

    Oggi il turno non lo suona più la sirena della fabbrica, ma il ping delle notifiche sullo smartphone.
    La differenza è che il turno non finisce mai: possiamo lavorare ovunque e in qualsiasi momento — ma questo “ovunque e sempre” ha un costo.
    Il confine tra vita e lavoro sta scomparendo.


    Smart working: libertà o trappola?

    Lo smart working è stato una delle più grandi trasformazioni degli ultimi anni.
    Per molti di noi, ha significato la possibilità di conciliare lavoro e vita privata, risparmiare tempo di spostamento, organizzarsi con maggiore autonomia.

    Ma, come tutte le rivoluzioni, porta anche nuovi rischi.
    La libertà di scegliere quando lavorare si è trasformata, in molte aziende, in un’aspettativa implicita di essere sempre disponibili.

    Secondo Eurofound (2023):

    • Il 27% dei lavoratori europei in modalità agile lavora regolarmente oltre l’orario contrattuale senza compenso.
    • Chi lavora da remoto più di due giorni a settimana è esposto a un rischio 1,6 volte maggiore di “overwork” rispetto a chi lavora in ufficio.
    • Le donne in smart working dichiarano un incremento medio di 3,5 ore settimanali di lavoro non retribuito, tra email serali e gestione attività domestiche in contemporanea.

    Nel settore ICT e consulenza, il fenomeno è ancora più marcato:
    INAPP (2024) rileva che il 55% dei lavoratori riceve comunicazioni di lavoro fuori orario almeno tre volte alla settimana, e il 40% le considera “parte normale” del lavoro.
    Un dato che, se ci pensiamo, sarebbe stato inaccettabile negli anni ’80, quando il turno finiva davvero e la sirena segnava la libertà.


    Il diritto alla disconnessione: esiste, ma non si vede

    L’Italia è uno dei pochi Paesi europei ad avere un riconoscimento formale del diritto alla disconnessione, sancito dal Protocollo nazionale sul lavoro agile (dicembre 2021).
    Il principio è chiaro: ogni lavoratore ha diritto a “periodi di disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro, senza pregiudizio del rapporto di lavoro o della retribuzione”.

    Peccato che nella pratica, la norma venga raramente applicata.
    Sempre secondo Eurofound, solo il 22% delle aziende italiane ha regole chiare e formalizzate su:

    • Orari massimi di connessione giornaliera.
    • Fasce di rispetto per email e messaggi.
    • Meccanismi di silenziamento automatico delle piattaforme fuori orario.

    Nel settore ICT, dove le organizzazioni sono distribuite e spesso internazionali, questa percentuale scende sotto il 15%.
    Il risultato è che la disconnessione diventa un fatto individuale, non collettivo: se spegni il telefono alle 20, rischi di sembrare “poco collaborativo”.

    “L’effettività del diritto alla disconnessione richiede una cultura organizzativa che valorizzi il tempo di recupero e riduca le aspettative implicite di reperibilità costante.”
    (Fonte: INAPP, Rapporto Annuale 2024)


    Il paradosso della reperibilità h24

    Mio padre lottava perché le famiglie avessero almeno un giorno insieme.
    Oggi, il paradosso è che anche se passiamo più tempo in casa, siamo spesso “altrove” con la testa, per via di chat, call, notifiche.

    L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (2024) ha rilevato che:

    • Il 33% dei lavoratori in smart working risponde a email o chat dopo le 22 almeno una volta a settimana.
    • Il 25% dichiara di aver dovuto interrompere momenti personali (cena, tempo coi figli) per riunioni last-minute.
    • Il 18% ha sperimentato sintomi di tecnostress (ansia legata all’uso continuo delle tecnologie aziendali).

    E non è solo un problema individuale.
    L’ILO (International Labour Organization, 2023) ha confermato che i turni prolungati e la reperibilità costante sono associati a un aumento del 23% del rischio di malattie cardiovascolari e a un calo di produttività di lungo periodo.


    Esempi di buone pratiche

    Non tutte le aziende si fermano alla legge scritta.
    Alcuni esempi virtuosi mostrano che si può fare di meglio:

    • Volkswagen ha introdotto già dal 2012 il blocco automatico delle email ai dipendenti dopo l’orario di lavoro per alcune categorie.
    • Daimler ha una funzione di “auto-delete” delle email ricevute in ferie: chi scrive riceve un messaggio automatico con il contatto di un sostituto.
    • Alcune realtà italiane ICT hanno introdotto i “meeting-free day”, giornate senza riunioni per favorire il lavoro profondo e ridurre lo stress da call.

    Queste misure, oltre a migliorare il benessere, riducono il turnover.
    Uno studio di Gallup (2024) ha mostrato che i team con politiche di disconnessione chiare hanno un 41% di probabilità in meno di perdere talenti nei 12 mesi successivi.


    Cosa possiamo fare come settore

    Il problema non è solo normativo, ma culturale.
    Serve un cambio di paradigma, e il settore ICT può esserne il motore.

    • Le aziende devono definire policy chiare e farle rispettare. Non basta un documento HR: servono processi, strumenti (es. silenziamento automatico) e KPI di benessere.
    • I lavoratori devono sentirsi legittimati a spegnere il PC e il telefono senza paura di ritorsioni.
    • Le rappresentanze sindacali, anche digitali, devono negoziare accordi su orari di reperibilità, carico massimo di lavoro, periodi di recupero.

    “Il diritto alla disconnessione è una misura di prevenzione primaria contro il tecno-stress, alla pari delle pause di sicurezza in fabbrica.”
    (Fonte: Accademia.edu – “Il diritto alla disconnessione nello smart working”)

    Ecco il punto: negli anni ’80 nessuno avrebbe accettato turni senza pause di sicurezza.
    Perché oggi accettiamo giornate senza pause digitali?


    Conclusione: riprenderci il tempo

    Così come negli anni ’80 mio padre lottava perché le famiglie avessero almeno un giorno insieme, oggi dobbiamo lottare per avere ore di vera disconnessione.
    Lo smart working è un’opportunità, ma solo se lo usiamo per migliorare la qualità della vita — non per estendere l’orario all’infinito.

    Nel prossimo articolo parlerò di come la rappresentanza sindacale deve evolvere per un mondo in cui i lavoratori sono distribuiti, connessi e spesso invisibili.
    Perché se i problemi sono nuovi, anche le soluzioni devono esserlo.


    📌 Call to action:
    Come vivi tu il tema della disconnessione?
    La tua azienda ha una policy chiara o tutto è lasciato alla “buona educazione”?
    Scrivilo nei commenti o raccontamelo: le tue esperienze possono diventare spunti per il terzo articolo di questa serie.